L’amputazione di un arto: un nuovo inizio

L’amputazione di un arto è conseguente a vari motivi: per presenza di anomalie congenite, tumori, traumi o malattie vascolari.

Un trauma è responsabile di circa il 15% delle amputazioni eseguite, mentre i tumori e le malformazioni congenite sono responsabili di circa il 5% di questi interventi. Tra questi gruppi causali esistono notevoli differenze in termini di sesso ed età dei pazienti. Mentre le anomalie vascolari sono diffuse nei due sessi con uguale incidenza, i traumi interessano più frequentemente il sesso maschile ad un’età variabile tra i 20 e i 40 anni. La malattia vascolare colpisce molto più frequentemente il sesso maschile (3:1) e l’amputazione viene eseguita, di solito, dopo i 50 anni di età (80%).

Le amputazioni maggiori sono interventi chirurgici eseguiti da specialisti in diverse branche chirurgiche, quali i chirurghi generali, i chirurghi vascolari e gli ortopedici.

Per la nota correlazione con l’età si registrerà una maggiore incidenza della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze nei soggetti anziani che molto spesso presentano quadri clinici complicati da polipatologie.
Nei paesi ad alto livello socio-economico di vita del cosiddetto mondo occidentale, come appunto l’Italia, la prevalenza della malattia aterosclerotica è di circa il 2% nella VI decade di vita e del 7% nella VII e VIII decade.

Le arteriopatie ostruttive con quadro clinico severo comportano una amputazione dell’arto inferiore nel 6-15% dei pazienti, percentuale che sale al 44% nei pazienti con quadro clinico di ischemia cronica degli arti inferiori. La vasculopatia rappresenta una complicanza comune nella popolazione diabetica: si riscontra infatti nell’8% nei pazienti all’esordio clinico della patologia, aumenta al 15% nei pazienti con una storia di diabete da più di 10 anni e colpisce il 45% dei diabetici con una storia clinica di malattia da 20 anni. Nei pazienti ospedalizzati per malattia diabetica il 20% presenta problemi di piede diabetico, il 30% una vasculopatia periferica e il 7% necessita di chirurgia vascolare e/o amputazione.

Come cambia lo schema corporeo dopo l’amputazione di un arto

Il 96% delle amputazioni si verifica nei pazienti con età superiore a 45 anni, con un tasso di amputazione, nei pazienti di età compresa tra 45 e 64 anni, 2-3 volte maggiore nella popolazione diabetica rispetto a quella non diabetica. Un diabetico infine presenta una frequenza di amputazione di gamba maggiore di 15 volte rispetto alla popolazione generale e, la vasculopatia diabetica ha una maggiore incidenza nei maschi rispetto alle femmine affetti da diabete.
L’amputazione però non è causa solamente dell’asportazione di un segmento di un arto, ma lo è anche di un’alterazione sia dello schema corporeo sia dell’immagine corporea.

Attraverso i nostri ininterrotti cambiamenti di posizione, costruiamo e ricostruiamo continuamente un modello posturale di noi stessi che, proprio per questa sua natura dinamica, è in perenne cambiamento. Ogni posizione ed ogni movimento vengono registrati in uno schema plastico (lo “schema corporeo”) derivato dall’integrazione cerebrale di ogni nuovo gruppo di sensazioni prodotte dal mutamento stesso. Lo schema corporeo agisce senza consapevolezza o monitoraggio cosciente.

Amputazione arto inferiore

L’immagine corporea è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso, è il riconoscimento della localizzazione di un punto corporeo stimolato e si riferisce a una rappresentazione cosciente del corpo, comprendente non solo percezioni, ma anche atteggiamenti.
Molto spesso per varie motivazioni che approfondiremo successivamente, la persona amputata percepisce la porzione mancante dell’arto sia come reale presenza sia come fenomeno doloroso, percepisce lo stesso dolore ma anche prurito, fitte ed altro nelle zone come prima dell’amputazione.

Questi sono quadri clinici definiti Arto Fantasma ed Arto Fantasma doloroso.
Queste alterazioni incidono in modo molto significativo sul vissuto della persona amputata, perché presenti anche tutto il giorno ostacolando spesso le attività della vita quotidiana, l’uso della protesi, il sonno.
Nel prendere in carico una persona amputata l’équipe riabilitativa deve redigere un progetto riabilitativo di tipo olistico, cioè considerare le condizioni cliniche generali della persona, quindi anche le patologie associate; deve valutare il livello di amputazione, le condizioni del moncone, della ferita chirurgica, il dolore, ambedue gli arti inferiori, ambedue gli arti superiori, il tronco, lo stato cognitivo, lo stato cardio-respiratorio, lo stato neurologico, stato psicologico-emozionale, l’ambiente dove vive, l’attività che svolge il soggetto, l’eventuale supporto assistenziale familiare.

Per questo l’équipe riabilitativa deve essere formata da un medico fisiatra, dagli infermieri, dai fisioterapisti, da uno psicologo, dal tecnico ortopedico protesista ed affiancata da un assistente sociale, dal paziente e dalla persona con la quale vive.

Tecniche aggiornate e soluzioni innovative per la protesizzazione del paziente amputato

La richiesta di protesizzazione e riabilitazione del paziente amputato è molto alta ed in costante crescita, la tecnica ortopedica offre soluzioni tecniche sempre aggiornate ma non sempre ottenibili dal SSN, le conoscenze cliniche dello schema del passo, dello schema corporeo, le capacità di apprendimento da parte dell’individuo, le metodiche riabilitative meno meccaniciste e più neuroriabilitative sono in continua evoluzione.

Il medico, il fisioterapista e il tecnico ortopedico protesista, per poter intervenire ove necessario oltre alle condizioni cliniche, devono anche conoscere alla perfezione le seguenti informazioni:

  • le caratteristiche tecniche delle componenti protesiche (invasi, tipi di ginocchi, tipi di piedi),
  • gli effetti meccanici di queste componenti sul corpo
  • gli effetti dell’allineamento della protesi sulla distribuzione delle pressioni tra moncone ed invaso
  • i meccanismi di controllo che deve attivare l’amputato per usare correttamente la protesi.
  • Il costo energetico richiesto per la deambulazione con la protesi scelta

Tutto questo poi deve essere spiegato chiaramente all’amputato.

Sappiamo che appena accade l’amputazione questa è vista dalla persona come “l’inizio della fine” poiché pensa di non poter più camminare, di non poter essere più autonomo per le attività della vita quotidiana mentre il chirurgo considera un’amputazione come l’atto finale di una lunga “battaglia persa” per salvare l’arto.
In realtà in considerazione della tecnologia protesica offerta e delle conoscenze moderne per il percorso riabilitativo l’amputazione, specialmente per le persone affette da problemi vascolari che sono stati a lungo sottoposto a cure per ulcere cutanee e bypass che hanno comportato periodi di limitata o addirittura assente mobilità, deve essere vista come l’atto che permette di porre termine a lunghe sofferenze ed immobilità e permette la ripresa di una nuova vita e dell’ autonomia, perché questo è veramente possibile.

Contatta i nostri tecnici specializzati per pianificare insieme a loro il tuo miglior percorso di riabilitazione.

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